Resi e rimborsi: quando sono i fedeli a lamentarsi dell’omelia

Penso che tutti abbiamo l’esperienza di passare un pomeriggio in un grande magazzino facendo shopping. A volte, siamo distratti e, forse, per colpa propria acquistiamo qualcosa di cui dopo ci pentiamo e ci tocca soltanto sopportare la nostra cattiva scelta ed imparare dal nostro errore.

Qualcosa completamente diverso si dà quando abbiamo comprato un certo prodotto, che dovrebbe avere una qualità garantita — perché ha costato tanto oppure è di un marchio riconosciuto — e, quando arriviamo a casa, apriamo il nostro bel regalo e, quanto risulta molesto se invece di trovare la qualità desiderata, ritroviamo qualcosa di difettoso o brutto! Allora, a differenza del “errore di shopping” ci rechiamo nuovamente al magazzino, andiamo a “Servizio al Cliente” e chiediamo il cambiamento o il rimborso di quanto spesso, perché ci sentiamo traditi oppure truffati.

Il diritto al rimborso è uno dei diritti basici del commercio moderno. Ebbene, qualcosa di simile, cambiando tutto ciò che si deva cambiare, dovrebbe dirsi del diritto dei fedeli a ricevere sana e gradevole dottrina quando ascoltano le nostre omelie.

Questa settimana mi ha colpito che due giornaliste si siano interessate vivamente per il fatto che stiamo tenendo un corso sull’Ars Praedicandi nell’Università della Santa Croce. Entrambe le giornaliste hanno manifestato la necessità di aiutare ai sacerdoti, perché si sentivano — a volte — tradite dal prete che non aveva preparato l’omelia oppure era terribilmente disordinato o noioso.

Penso che i fedeli hanno il diritto di ascoltare buone omelie. L’omelia non può essere — come la qualificava in passato un noto giornalista italiano — tormento dei fedeli.

Vi lascio per la riflessione l’articolo apparso ieri su La Repubblica (Roma): la Repubblica EDIZIONI LOCALI – 18 Marzo 2017 195